Ecco i 7 segnali che rivelano una persona con sindrome dell’impostore, secondo la psicologia

Quella collega che ottiene sempre risultati straordinari ma si scusa costantemente per “aver avuto fortuna”? Il manager brillante che lavora fino a notte fonda perché “deve ancora migliorare”? La professionista di successo che trema prima di ogni presentazione importante? Potresti trovarti di fronte a persone che soffrono di sindrome dell’impostore, e probabilmente non te ne sei mai accorto.

La sindrome dell’impostore è uno di quei fenomeni psicologici che si nascondono in bella vista. Non stiamo parlando delle classiche insicurezze che tutti riconosciamo facilmente, ma di pattern comportamentali così ben mascherati da sembrare addirittura virtù professionali. Secondo gli studi di Pauline Clance e Suzanne Imes del 1978, che per prime hanno identificato questo fenomeno, le persone che ne soffrono riescono a costruire una facciata di competenza così convincente che spesso ingannano anche se stesse.

Il paradosso delle persone di maggior successo

Ecco la cosa più assurda: la sindrome dell’impostore colpisce principalmente le persone che hanno davvero successo. Una revisione sistematica pubblicata nel 2020 sul Journal of General Internal Medicine ha rilevato che tra il 9% e l’82% delle persone sperimenta questi sentimenti, con picchi particolarmente alti tra professionisti qualificati, studenti universitari brillanti e manager di alto livello.

Ma perché proprio loro? La risposta è controintuitiva: più sali nella scala professionale, più aumentano le aspettative, e più diventa facile convincersi che i tuoi risultati siano un colossale malinteso che prima o poi qualcuno scoprirà.

Anche se la sindrome dell’impostore non è una diagnosi clinica ufficiale del DSM-5, rappresenta un pattern psicologico ben documentato caratterizzato da dubbi cronici sulle proprie capacità e dalla paura persistente di essere “scoperti” come incompetenti, nonostante le evidenze concrete del contrario.

I segnali che nessuno riconosce come problematici

Il vero problema della sindrome dell’impostore è che i suoi sintomi vengono spesso scambiati per qualità positive. Quando vedi qualcuno che lavora 12 ore al giorno, pensi “che dedizione”. Quando senti una persona minimizzare costantemente i suoi successi, pensi “che modestia”. Ma dietro questi comportamenti può nascondersi una sofferenza psicologica significativa.

Secondo uno studio dell’American Psychological Association, le persone che soffrono di sindrome dell’impostore tendono a ricontrollare ossessivamente il proprio lavoro, non per perfezionismo sano, ma per terrore di commettere errori che potrebbero “smascherarli”. Si preparano in modo eccessivo per ogni presentazione, non perché siano professionali, ma perché sono terrorizzate dall’idea che qualcuno possa accorgersi che “non sanno abbastanza”.

La cosa più subdola è che questo meccanismo si autoalimenta: più lavorano duramente per compensare la loro presunta inadeguatezza, più ottengono risultati, più si convincono che sia tutto dovuto al loro “bluff” piuttosto che alle loro reali competenze.

La trappola della modestia estrema

C’è una differenza enorme tra essere umili e autodistruggersi psicologicamente. Chi soffre di sindrome dell’impostore non dice mai “grazie” quando riceve un complimento. Invece, risponde con frasi che diventano veri e propri mantra di auto-svalutazione:

  • “È stato solo un caso”
  • “Ho avuto un team eccezionale”
  • “Il progetto era più semplice del previsto”
  • “Chiunque al mio posto avrebbe fatto meglio”

Questa tendenza all’attribuzione esterna dei successi è uno dei marker più chiari del fenomeno. Mentre una persona con autostima equilibrata riconosce sia i fattori esterni che le proprie competenze nei risultati ottenuti, chi soffre di sindrome dell’impostore attribuisce sistematicamente tutto al mondo esterno, mai a se stesso.

Il risultato? Una spirale in cui ogni successo diventa la “prova” che stanno ingannando tutti, piuttosto che la conferma delle loro capacità.

L’ansia che si traveste da professionalità

Un altro segnale spesso frainteso è l’ansia intensa prima delle situazioni di valutazione. Quella persona che sembra sempre preparatissima e sicura di sé potrebbe in realtà vivere notti insonni prima di ogni presentazione importante, provare tachicardia, sudorazione e sintomi fisici da stress.

La ricerca di Bravata e colleghi del 2020 ha dimostrato che questa ansia è completamente indipendente dal livello reale di preparazione. Spesso sono le persone più preparate della stanza a provare il terrore maggiore, proprio perché sanno che hanno molto da “perdere” in termini di reputazione se dovessero essere “scoperte”.

Le origini nascoste del problema

La sindrome dell’impostore non nasce dal nulla. Gli studi hanno identificato alcuni fattori predisponenti che spiegano perché alcune persone sviluppano questo pattern mentre altre no.

Uno dei fattori più significativi è crescere in un ambiente educativo perfezionista. Una ricerca di Crocetti e colleghi pubblicata nel 2021 su Current Psychology ha evidenziato come bambini che ricevevano lodi solo per risultati eccezionali, mai per l’impegno o il processo di apprendimento, tendano da adulti a sviluppare un’autostima fragile che dipende esclusivamente dai risultati esterni.

L’era dei social media ha poi amplificato il problema. Vergauwe e colleghi, in uno studio del 2015 pubblicato su Frontiers in Psychology, hanno dimostrato come il confronto costante con la vita “perfetta” degli altri online aumenti significativamente la tendenza a sentirsi inadeguati, anche quando si hanno oggettivamente successi maggiori di quelli che si ammirano sui social.

Anche le transizioni professionali giocano un ruolo cruciale. Promozioni, nuovi lavori o salti di carriera spesso scatenano episodi acuti di sindrome dell’impostore, perché il cervello fatica ad adattarsi alla nuova identità professionale e interpreta la normale curva di apprendimento come “prova” della propria inadeguatezza.

Il costo nascosto del finto perfezionismo

Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, la sindrome dell’impostore raramente migliora le prestazioni a lungo termine. Anzi, spesso le compromette in modi che passano inosservati fino a quando non è troppo tardi.

Il primo costo è il burnout precoce. La ricerca di Bravata del 2020 ha dimostrato che il superlavoro compensatorio porta rapidamente all’esaurimento fisico e mentale, spesso mascherato da “dedizione eccessiva al lavoro”.

Il secondo costo è la creatività limitata. Uno studio di Clark e colleghi del 2014, pubblicato sul Journal of Managerial Psychology, ha evidenziato come la paura costante di sbagliare blocchi l’innovazione e la propensione al rischio calcolato, elementi essenziali per la crescita professionale.

Il terzo costo sono le opportunità perse. Chi si sente un impostore tende sistematicamente a non candidarsi per ruoli di maggior responsabilità, a rifiutare sfide stimolanti o a sabotare inconsciamente le proprie possibilità di crescita.

Come riconoscere veramente i segnali

Se vuoi identificare la sindrome dell’impostore nelle persone che ti circondano, devi guardare oltre le apparenze e concentrarti su pattern comportamentali specifici.

Il primo segnale è la dipendenza dalla validazione esterna. Non stiamo parlando del normale bisogno di feedback, ma di una ricerca compulsiva di rassicurazioni che non arrivano mai o non sono mai sufficienti. Queste persone hanno bisogno di conferme costanti da superiori, colleghi o clienti, ma anche quando le ricevono, le svalutano immediatamente.

Il secondo segnale è l’autosabotaggio inconscio. Comportamenti come procrastinare progetti importanti proprio quando stanno andando bene, rifiutare opportunità di crescita senza motivi razionali, o minimizzare le proprie competenze nei momenti più cruciali possono essere forme di autosabotaggio legate alla paura inconscia del successo.

Il terzo segnale è l’incapacità di godere dei risultati raggiunti. Una persona con sindrome dell’impostore non si ferma mai a celebrare i propri successi. Appena raggiunto un obiettivo, si concentra immediatamente sul prossimo, spesso alzando l’asticella in modo irragionevole.

La differenza tra insicurezza normale e sindrome dell’impostore

È importante distinguere tra i normali dubbi che tutti abbiamo e la sindrome dell’impostore vera e propria. L’insicurezza normale è episodica, specifica per situazioni particolari, e tende a diminuire con l’esperienza e i risultati positivi.

La sindrome dell’impostore, invece, è pervasiva, cronica, e paradossalmente si intensifica con il successo. Più la persona ottiene risultati, più si convince che stia “ingannando” tutti, creando un circolo vizioso che può durare anni o addirittura decenni.

Cosa fare quando riconosci questi segnali

Se riconosci questi pattern in qualcuno vicino a te, ci sono modi costruttivi per offrire supporto senza sembrare invadente o presuntuoso.

La strategia più efficace è offrire feedback specifico e concreto. Invece di complimenti generici come “bravo” o “sei molto competente”, concentrati su abilità specifiche e risultati misurabili. Ad esempio: “La tua analisi dei dati del trimestre scorso ha evidenziato trend che nessun altro del team aveva notato, e questo ha portato a un risparmio di 50.000 euro”. Questo tipo di feedback è più difficile da svalutare o attribuire a fattori esterni.

Un’altra strategia importante è normalizzare l’imperfezione. Condividi le tue insicurezze, i tuoi errori passati, e i momenti in cui anche tu hai dubitato delle tue capacità. Chi soffre di sindrome dell’impostore spesso pensa di essere l’unico a sentirsi inadeguato, quando in realtà è un’esperienza umana molto comune.

Infine, celebra i processi, non solo i risultati. Riconosci pubblicamente l’impegno, la creatività, il metodo e le competenze dimostrate, indipendentemente dall’outcome finale. Questo aiuta a costruire un senso di competenza più solido e meno dipendente da fattori esterni.

Quando è il momento di cercare aiuto professionale

È fondamentale sottolineare che la sindrome dell’impostore, pur non essendo classificata come disturbo clinico, può avere un impatto devastante sulla qualità della vita. Se i sintomi interferiscono gravemente con le prestazioni lavorative, le relazioni interpersonali o il benessere generale, è essenziale consultare uno psicologo specializzato.

La terapia cognitivo-comportamentale ha mostrato risultati particolarmente promettenti nel trattamento di questi pattern di pensiero disfunzionali. Il lavoro terapeutico aiuta le persone a sviluppare una percezione più realistica delle proprie competenze e a rompere i circoli viziosi di auto-svalutazione.

Riconoscere la sindrome dell’impostore negli altri non significa diagnosticare o etichettare, ma sviluppare una maggiore consapevolezza di quanto sia comune sentirsi inadeguati anche quando si è oggettivamente competenti. In una società che celebra costantemente il successo e la perfezione, ricordare che dietro molte persone brillanti si nascondono dubbi profondi può aiutarci a essere più compassionevoli, sia verso gli altri che verso noi stessi.

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